Io, solo, arbitro…

In divisa da gioco

In divisa da gioco

Aspetti con ansia quella telefonata che, puntualmente, rompe la tua noia nel bel mezzo della settimana. Non sai dove andrai, chi incontrerai, quali insulti prenderai. Ma tu lì, fermo, immobile, poco dopo salti di gioia come un bambino perché sì, ancora una volta, calcherai quel campo verde tanto amato.

Passano i giorni, pensi a quella gara, vorresti arrivasse prima possibile. Nel frattempo vivi la tua vita, svolgi il tuo lavoro. Ma quel pensiero, no, non vuole andar via. Non puoi visionare dvd, non puoi consultare statistiche; sei un amatore ragazzo e puoi solo allenare i tuoi muscoli ma non la tua conoscenza.

Una ripassata al regolamento, poi pensi:”Ma chi lo conosce veramente a fondo?”. Ma tu devi conoscerlo eccome, perché anche se amatore, nessuna ignoranza ti verrò perdonata. E allora sfogli quelle pagine, ripeti a te stesso:”Questa propria non me la ricordavo”. “Cavolo, mi è capitata l’altra volta questa anomalia”.

Poi, finalmente, arriva il giorno della gara. Prepari la tua borsa, pulisci le tue scarpette, raccogli i ferri del mestiere. Metti in moto la macchina, davanti a te tanti chilometri e un unico pensiero:”Speriamo di fare bene e di divertirmi”. In auto la canzone preferita, fuori la strada oramai amica che avrai già fatto mille volte. Ma dentro di te, nella tua testa, il solito ritornello:”Chissà come andrà”.

Parcheggi, imbracci il tuo bagaglio, arrivi al campo. Saluti, ti accomodi nel tuo spogliatoio, controlli le divise di gioco. “Mi dispiace, sono bellissime, ma devo mio malgrado farvele cambiare. Il colore ospite è uguale”. E lì, già solo contro tutti, che domandi a te stesso:”Chissà se sono stato garbato nel chiederlo oppure ho trasmesso troppa autorità. Vabbè, mi cambio anch’io”. Davanti a te cento metri o poco più da percorrere, per il controllo delle reti. E dietro di te, invece, immancabile, il sarcastico commento:”Le reti sono apposto, ho già controllato io”. E’ il simpatico custode del campo che, quasi vistosi sorpassare nel suo ruolo, non sa che tu, quel controllo, devi farlo per forza.

Torni negli spogliatoi, è ora di cambiarsi. Scegli la divisa, non necessariamente il tuo colore preferito. Le squadre hanno la precedenza, devi adeguarti. Poco dopo ti dirigi in campo per il riscaldamento pre gara. Non ci sono i lampioni magici del Meazza, i cori dello Juventus Stadium o la curva accesa di passione dello Stadio Olimpico. Davanti a te, quasi sterminato, il silenzio della sera e il buio di un impianto che, troppo spesso, fa le bizze. Allora tu, quel boato e quella carica adrenalinica, provi ad immaginarla dentro di te. Non sarà mai la finale di Champions, ma per te è come se lo fosse. La concentrazione è massima, torni negli spogliatoi e ti attende la giungla del riconoscimento. Manca un documento, oppure un tesserino. Perchè ha firmato l’assistente e non il dirigente accompagnatore? Sono gli amatori ragazzo, non dimenticarlo mai.

Tu, intanto, provi a spiegarti e supporti le squadre nella compilazione della distinta. “No, questo non si può. Lo prevede il regolamento. Già, il regolamento”. Quel libro misterioso, bibbia profana di ognuno di noi. Finalmente ci siamo, sei pronto a fischiare il calcio d’inizio.

Tra una corsa e l’altra, un richiamo e un fischio, un gol e un fuorigioco, la tua gara scorre via tra mille epiteti che solo a ripensarli ti viene la nausea. Eppure tu sei lì, solo in mezzo al campo, a cercar di carpire se quel centimetro, maledettamente decisivo, separasse te dal più umano degli errori. Ma di umano, in una partita di calcio, c’è ben poco. Le urla, le proteste, gioie e dolori. No, non c’è proprio niente di umanamente comprensibile.

Ma è al triplice fischio che, ogni singolo protagonista, torna uomo e sportivo, tranne rare eccezioni. E io, infangato e sudato come mai fino a quel momento, ho ancora la forza di ascoltare e, se possibile civilmente replicare. Perchè quel rigore, forse, poteva anche starci, ma tu hai capito il mio errore e non mi condanni. Ti lamenti, sì, ma non mi condanni. E io, finalmente libero dalle paure, voglio stringerti la mano.

Voglio chiederti scusa per quel fallo apparso netto, ma non posso più cambiare le cose. Però tu hai capito e mi saluti con garbo, perché in fondo siamo tutti sportivi. E in quel momento, nonostante il dispiacere di un errore, mi rincuora la forza di un dirigente che ha visto in me l’uomo e non il cornuto. Solo allora la coscienza si acquieta e l’orgoglio si fortifica, perché su quel campo, solo tra tanti, l’arbitro ha sbagliato ma ha saputo fare la cosa più importante: rispettare la divisa.

E se ne va, borsone in spalle, in attesa della prossima chiamata. In attesa della prossima partita che, da anni, anticipa la seguente. Con la stessa passione, la stessa forza di volontà, la stessa voglia di sbagliare meno possibile. Con l’identica voglia di dire perché, da anni…”Io, solo, arbitro”.

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